Quando si parla di “smart city” c’è il rischio di generalizzare un concetto che, in realtà, racchiude un significato molto più ampio di quel locus amoenus tecnologico che l’immaginario collettivo prefigura per le generazioni future.
Non c’è dubbio che la componente dell’innovazione e dello sviluppo delle nuove tecnologie giochi un ruolo fondamentale nel definire “smart” alcune realtà urbane piuttosto che altre; ma è solo questo fattore a costituire le “città intelligenti”?

Da numerosi studi, fra cui i World Urbanization Prospects delle Nazioni Unite, emerge la centralità delle città nel futuro sviluppo delle politiche di crescita sostenibile. Assorbendo quasi i 2/3 della popolazione mondiale, i centri urbani risultano un trampolino di lancio imprescindibile per i progetti degli organismi internazionali, nel nostro caso specifico l’Unione Europea.
Questa visione è stata confermata anche dalle Nazioni Unite che, attraverso i Sustainable Development Goals, cercano una risposta concreta ai problemi del cittadino.
Tornando a una possibile definizione di smart city, viene utile il report Mapping Smart Cities in the EU, che riporta, seppur indirettamente, una visione istituzionale europea. Si può dunuque definire “smart” ogni città che presenti almeno una delle seguenti caratteristiche: Smart Governance, Smart People, Smart Living, Smart Mobility, Smart Economy e Smart Environment.
Questa definizione, unita ad alcuni esempi virtuosi di città intelligente (Malmo, San José, Milano) offre lo spunto per cogliere quelli che sono i punti intorno ai quali manca un’implementazione normativa, a livello comunitario prima e nazionale poi.
L’Unione Europea, con il programma Europe 2020 ha sicuramente compiuto un passo importante nella diffusione dei modelli “smart” in tutto il territorio europeo. Tuttavia, la principale lacuna, ricercando un diritto specifico per la smart city, è la sua mancata specificità per quest’ultima, vista più come mezzo che come fine al quale approdare attraverso un solido e chiaro sistema normativo creato ad hoc.
In questa sottile differenza risiede, secondo una mia interpretazione, la precarietà di molte politiche che puntano sullo sviluppo di un modello di crescita sostenibile e intelligente.
Se, infatti, sono sotto gli occhi di tutti le potenzialità di queste iniziative dal punto di vista degli investitori, è altrettanto chiaro che un sistema che poggia le sue basi sull’intraprendenza dei singoli comuni non può di certo definirsi stabile e uniforme.
Strumenti comunitari come il Pacchetto per il Clima e l’Energia 2020, Covenant of Mayors, Europe 2020 e Strategic Energy Technology Plan, sono perlopiù fonti di indirizzo strategico. Il settore energetico e ambientale, necessita invece di un quadro normativo che uniformi le iniziative che si propongono di affrontare le sfide della globalizzazione e del cambiamento climatico.
Strumenti di coesione come il Covenant of Mayors hanno il merito di riunire le amministrazioni locali, indirizzando in un unico canale le proprie politiche di sviluppo. Le direttive del Pacchetto Clima ed Energia guidano l’azione dei sindaci che aderiscono al patto che, ricordiamo, prevede un’adesione formale ma spontanea.
Di conseguenza in casi come questo è chiara la prevalenza della natura politica della scelta, rispetto a quella dettata dal diritto.
Un’altra importante lacuna è la mancanza a livello europeo di un fondo specifico riservato alle smart cities. Fondi come Horizon 2020, COSME e Life+, sono rivolti a settori che coinvolgono anche altre realtà rispetto a quella cittadina e coprono settori come quello energetico o ambientale. Inoltre, l’ambizione degli obiettivi per i quali sono stati stanziati questi fondi, spesso li spinge a venir integrati con investimenti privati.
Ribadisco nuovamente la mia convinzione sulla necessità di instaurare un programma di finanziamento gestito dall’Unione Europea che sia uniforme e, cosa più importante, unicamente rivolto alle smart cities. Parallelamente, la creazione di un quadro normativo che delinei ufficialmente i parametri di definizione delle città intelligenti sarebbe senza dubbio la garanzia dell’efficacia di questi strumenti finanziari.
A tal proposito, sono degli ottimi esempi le soluzioni adottate da Italia e Spagna che, per far fronte allo scoglio del finanziamento, hanno percorso sentieri differenti ma altrettanto efficaci al fine del risultato.
Milano ha visto un forte impulso dell’Amministrazione Comunale che, attraverso iniziative come il “crowdfunding”, ha incentivato la creatività di cittadini e imprese.
Málaga dal canto suo ha privilegiato un importante coinvolgimento di un partner come Endesa, con un progetto altamente tecnologico che può essere visto come il connubio fra innovazione, sostenibilità ambientale ed energetica.
Una legislazione esplicitamente rivolta alle smart cities di fatto non esiste; l’istituzione “smart city”, non ancora codificata, è vista in funzione dei provvedimenti di natura ambientale, energetica e digitale.
L’esempio spagnolo del Comité Técnico de Normalización de AENOR AEN/CTN 178 Ciudades Inteligentes, nonostante sia un’iniziativa nazionale, rappresenta una possibile soluzione a questa carenza legislativa.
Istituendo un organo specializzato nello studio e nell’elaborazione di una struttura normativa che possa reggere il vasto insieme di politiche smart, sarebbe indubbiamente un passo decisivo verso un futuro rafforzamento dei progetti urbani.
Una composizione ibrida come quella del Comité spagnolo sicuramente gioverebbe a tutti quei paesi che stanno concentrando i loro sforzi verso il raggiungimento di obiettivi ambiziosi come quelli di Europe 2020. La cooperazione in tal senso fra ministeri competenti, imprese private, mondo accademico e società civile è la chiave per il successo nel lungo periodo di tutti quei progetti che si fregiano dell’appellativo “smart”.
Solo in questo modo si andrebbe a creare quel famoso “sistema di smart cities” cui molti fanno riferimento; la frammentazione normativa del panorama a livello internazionale mette a rischio la longevità di progetti che sono la risposta a questioni molto più importanti di una semplice moda passeggera.

L’inquinamento urbano, l’incontrollato sfruttamento delle risorse energetiche, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della povertà e la disoccupazione, sono solo alcuni dei principali problemi ai quali è chiamata a rispondere la “smart city”. Affrontarli significa uniformare, almeno a livello comunitario, le azioni delle realtà territoriali e, parallelamente, offrire loro gli strumenti frutto dell’esperienza sul campo degli esperti di settore.
Fino a questo momento è stato compiuto metà del lavoro, gli strumenti di condivisione messi a disposizione delle città che vogliono trasformarsi in smart city ci sono: il Covenant of Mayors è un ottimo esempio.
Quello che manca è appunto l’istituzione giuridica “smart city”, condizione necessaria per implementare e uniformare le politiche di sviluppo intelligenti, incanalate in un unico filone da iniziative come quella del Covenant.
Ci troviamo di fronte a un tema assai complesso che, almeno personalmente, suscita interesse e curiosità. “Smart city” nell’immaginario comune è sinonimo di innovazione, io vorrei fare un passo indietro, perché la componente tecnologica non è nulla senza una regolamentazione giuridica che la metta a disposizione dell’intera comunità.
Henry Ford diceva che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”.Per questo motivo la diffusione di norme che diffondano e rafforzino l’uso di queste tecnologie nelle città diventa di vitale importanza. Lo sviluppo sostenibile è spesso la ratio che muove la maggior parte delle iniziative “smart”, tuttavia la novità portata da progetti di questo tipo risulta fine a sé stessa se non è accompagnata da una diffusione regolata in modo chiaro, comprendente finalità come inclusione sociale e solidarietà che possano garantire sviluppi futuri.
