Compiere 30 anni viene definito come un primo giro di boa, è quel passaggio tra la fine dei sogni e l’inizio dei doveri; sposarsi, avere figli , una casa ed un lavoro stabile. Se le tue amiche sono tutte sistemate si aspettano che anche tu lo sia.
Scherzosamente, un uomo ha detto a sua moglie: “se proprio vuoi farmi una torta, mettici solo 29 candeline”
Vorrei riderci su ma il tempo passa inesorabile ed io con i miei 26 anni inizio a preoccuparmi. Ho un sogno che non voglio lasciare nel cassetto: lavorare nelle risorse umane.
Il problema che mi trascino da anni è quello di non aver ancora raggiunto la famosa laurea: a tutti i colloqui di lavoro mi hanno “scartata” proprio per non avere quel pezzo di carta.
Ho maturato un po’ di esperienza nel settore tramite il volontariato ed uno stage all’estero. Ho delle conoscenze che vanno oltre la semplice teoria e, ammettiamolo, l’università insegna solo quella.
Leadership, soft skills, uscire dalla propria comfort-zone, non impari a vivere leggendo solo libri. La situazione si presenta anche al contrario: laureati di 21/22 anni che finiscono per friggere patatine dato che nessuno vuole investire le proprie risorse nella formazione di un nuovo arrivato.
Da un lato, tutte le aziende cercano delle persone disposte a mettersi in gioco ma preferiscono perderle pur di avere un foglio in mano, mentre dall’altro, sugli annunci di lavoro leggiamo: –cercasi stagista con esperienza– È una contraddizione che nel 2020 non dovrebbe più esistere ma che riassume benissimo la nostra situazione.

“Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita” [Confucio]
Sarà che sono una millennial e quindi ritengo che questo dovrebbe essere il nostro scopo. Non pretendo che sia un obiettivo facile da raggiungere ma ritengo che le barriere non dovrebbero essere standardizzate: età, sesso, etnia, titolo di studi…
Nessuno dovrebbe ritrovarsi davanti ad una scrivania o a fare fotocopie per otto ore al giorno, soltanto perché è finito tra le mani del “non hai altra scelta”.
E come se non bastasse, siamo nell’anno del coronavirus che sta mettendo a dura prova le risorse del nostro paese. Migliaia di persone sono senza lavoro e lo smart working non può essere esteso a tutte le attività; è la dimostrazione che la persona fisica è ciò che abbiamo di più prezioso.
Forse è proprio questo il momento giusto per dimostrare alle aziende che in momenti di crisi conta di più la capacità di mettersi in moto al più presto e che tutto il resto può essere lasciato in secondo piano.
Che sia il caso di chiudere a chiave quel cassetto? Almeno per i prossimi 4 anni non lo farò. Voglio essere io a decidere in che direzione andare per raggiungere e modellare il mio primo giro di boa.