Il sipario è chiuso, ma noi no.

Una riflessione su cosa vuol dire parlare di teatro oggi.

Oggi in questa giornata di fine Aprile 2020 parlare di teatro è un argomento delicato, perché il mondo dello spettacolo sta vivendo una crisi sostanziale, non parliamo dei grandi nomi, ma di tutti gli artisti meno noti che non sanno di cosa vivere se non hanno la possibilità di potersi esibire. Parliamo di tutte le maestranze che vivono dietro le quinte, parliamo di chi monta palcoscenici, di chi trasporta scenografie, di tecnici, e di tutte e le tante figure che la maggior parte delle persone non ha neanche idea che siano una professione.

Il mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, ha una vita fatta di tante piccole individualità, ed è la somma di queste individualità che lo rendono tale senza che i più ne sappiano niente, permettendovi di godere di quello spettacolo che siete abituati a vedere come fruitori.

Certo, i social hanno contribuito ad avere momenti di intrattenimento tramite le dirette, gli show da casa, le interviste, registrazioni di musica, ma il mondo del teatro non può passare attraverso lo schermo; quelle individualità che compongono l’intrattenimento dal vivo non arrivano in questo modo, non ci passano tutte dentro, sono troppe.

Francesco Santoro, Hide and Seek

Parlare di teatro oggi vuol dire non mettere da parte una tradizione antica, fatta di sacrifici, di mutamenti, perché il teatro stesso nel corso dei secoli è cambiato, basti pensare a quando si recitava con il coro greco, a quando alle donne non era concesso interpretare ruoli teatrali, e a quante sfide si sono trovate ad affrontare nei secoli le persone che come me hanno scelto il mestiere dell’attore.

Siamo stati sempre maltrattati, gli emarginati della società, quelli che nella vita sono “ipocriti”, perché se sanno interpretare una parte allora non saranno mai veri nella vita di tutti i giorni, quelli che “io di mestiere faccio l’attore” e la risposta pronta è sempre la stessa “si, ma di lavoro vero, che fai” perché di teatro non ci si vive, a meno che non sei un nome ed hai magicamente abbandonato la massa dei nessuno, eppure, il teatro dà lavoro a tanta gente, strano vero? Ecco oggi il teatro è dimenticato da chi ci chiama “furbetti”, come se dipendesse dalla volontà di un attore essere pagato in nero, fare prove non retribuite, pagarsi da solo gli studi e per farlo, dover fare altri lavori contemporaneamente.

Forse in questi giorni bisognerebbe rivedere i nostri pensieri sul teatro e sul mondo dell’intrattenimento, perché anche questo è un settore che fa girare l’economia, muove la vita, le emozioni e gli interessi della gente, la carenza di pubblico a volte è dovuta anche alla stragrande presenza di offerta, ma non solo.

Quando bisogna introdurre un discorso su ciò che significa parlare di teatro oggi, bisogna partire dall’urgenza di ogni cuore di provare emozioni, dal desiderio di perdersi in una meraviglia che la vita spesso ci nega e forse è per questo che noi attori continuiamo a fare ciò che facciamo e ci indigniamo, ci ingegniamo, ma soprattutto non ci rassegniamo mai, perché continueremo a fare arte e troveremo la strada per farci ascoltare, nonostante tutte le difficoltà, perché anche se siamo invisibili per la gran parte della vita, basta una piccola luce accesa per farci brillare ed a far posare il vostro sguardo su di noi. E se alla fine ci premierete con un applauso, allora il nostro lavoro, la nostra fatica e i nostri sforzi, non saranno stati vani.

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte” 


(Leo De Berardinis)

Agnese Torre
Agnese Torre
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