“Ascoltiamo solo se vogliamo dare una risposta”. Questa frase, letta in qualche libro di cui ho perso la memoria, mi è passata in testa più e più volte mentre scrollavo il mio feed di Instagram e LinkedIn. È una frase interpretabile, quasi criptica, ma in cui io ci ho visto l’essenza della logica push di un sistema che, a mio avviso, rischia di scoppiare, almeno nel modo in cui lo percepiamo.
La democratizzazione dei social network è la grande novità nel modo di fare comunicazione: tutti possono diventare influencer. Tutti, nel nostro piccolo, ci crediamo delle mini-celebrità da smartphone.
Perché mettere alla berlina la nostra quotidianità è ormai una prassi accettata, e io per primo la trovo una pratica piuttosto divertente, un modo per condividere in modo rapido un nostro momento o uno stato d’animo che ci sentiamo di comunicare ed avere un feedback immediato.
Lo fa Chiara Ferragni, lo fa Cristiano Ronaldo, lo fanno le Kardashian, lo fa perfino Salvini; perché non dovremmo farlo anche noi? In fondo il pubblico personale, seppur decisamente più ristretto, non dovrebbe mancare praticamente a nessuno.
Ma se tutti siamo protagonisti, dove sono gli spettatori?

Ho provato a pensare a un’orchestra, in cui ognuno di noi nel mondo social suona uno strumento. Certo, alcuni suonano meglio di altri, alcuni si concedono degli assoli mentre altri sono solo di accompagnamento, ma tutti suoniamo all’unisono.
I momenti in cui ascoltiamo suonare gli altri sono sempre meno, tutti siamo sempre più concentrati sullo spingere prepotentemente i nostri contenuti, mentre quelli altrui fungono da cornice al nostro quadro.
Questo fenomeno mi capita di osservarlo soprattutto nel mondo che, per semplicità, chiameremo del “business”. Esistono infatti pagine e profili social di aziende o brand, grandi o piccoli, che sfruttano le maggiori piattaforme per conquistare quella fetta di pubblico che, prima della rivoluzione social, era impensabile di attirare.
Gestendo da qualche mese le pagine social di Orange Romance, mi sono reso conto di quanto la mia attenzione sui contenuti altrui cali drasticamente, mentre sono concentrato sulla qualità e le interazioni dei miei.
Viviamo nell’era della velocità, dove, per citare Mario Andretti, “se hai tutto sotto controllo, significa che non stai andando abbastanza veloce”.
È recente lo studio pubblicato dal Business Insider in cui si spiega come un like sprigiona una quantità di dopamine in grado di lasciare subito un senso di soddisfazione che, alla lunga, crea dipendenza. Ne vogliamo sempre di più, dimenticando tutto il resto.
Quindi, se è vero che viviamo nell’era del “tutto e subito”, i riscontri per ogni contenuto sono davvero immediati. Ciò che non è immediata è la realizzazione di tutto il resto che ci circonda.
Una buona strategia digitale non può prescindere dall’ambiente esterno, e questo vale per il mondo delle aziende che, se da una parte dedicano attenzione alle mosse della concorrenza, dall’altra spesso dimenticano che una logica eccessivamente push dei contenuti può risultare controproducente. Come un assolo eccessivamente lungo, o una rullata troppo forte.
Il mondo dei social network è un’orchestra in cui è fondamentale mantenere un certo equilibrio. Questo vale per ciascun utente; torna molto utile l’approccio del minimalismo digitale, quel “less is more” che permette di produrre contenuti di qualità, dedicando la giusta attenzione a quei contenuti che sono veramente interessanti per noi.
Non sono mai stato un sostenitore di chi demonizza l’utilizzo dei social. Un utilizzo consapevole degli stessi li rende dei preziosi alleati e dei piacevoli passatempi.
Il pericolo è che questi bellissimi giocattoli alla lunga diventino degli enormi gruppi “spam” in cui ci sommergiamo di superfluo e perdiamo di vista l’essenziale, finendo per scartare a prescindere tutto ciò che ci viene proposto. Il parco giochi rischia di trasformarsi in un triste luna park del trash, dove a vincere è chi grida più forte degli altri, non chi propone i contenuti migliori.
“Ascoltiamo solo se vogliamo dare una risposta”, è proprio vero. Tutti vogliamo essere protagonisti e suonare liberamente il nostro assolo, dimenticando quanto invece possa essere bello sedersi comodamente in platea, e godersi lo spettacolo.