Con la musica negli occhi

L’anno del diploma è un anno strano, a tratti surreale. Cominci a realizzare che stai veramente per concludere un lungo percorso durato 10 anni e che molte abitudini presto cambieranno. Il lontano giorno del diploma arriva in un secondo e anche quando lo stai vivendo, mentre stai suonando, sembra comunque che non stia accadendo realmente. Forse lo stato d’animo è questo perché nessuno vorrebbe lasciar andare qualcosa che l’ha fatto star bene per molto tempo. Ci ancoriamo alle realtà più preziose con la speranza di farle durare il più a lungo possibile.

Non sapevo, quando ho cominciato, cosa mi attendeva oltre il portone marrone del Conservatorio e penso che non avrei nemmeno voluto saperlo. Voglio dire, di sicuro avrei voluto sapere quale Capriccio di Paganini mi avrebbero chiesto al diploma (giusto per fare un esempio veramente drammatico!!!) ma, a parte questa piccola eccezione, per me studiare musica è stato un viaggio meraviglioso che continua anche adesso e il rischio di intraprenderlo senza avere la certezza di poterlo portare a termine con successo mi sta lasciando in eredità qualcosa che va ben oltre la preparazione professionale.

A proposito di questo voler “conoscere senza garanzie” e mettendo per un attimo da parte la musica in se (che già da sola vale comunque come poche altre cose sulla faccia della Terra) i legami importanti che in questi anni ho costruito e che ad oggi posso definire tali sono tutti collegati al settore musicale…e non perché riguardano il mondo in cui ho studiato e in cui ora lavoro.

Il collante che tiene uniti i musicisti si fonda su dei principi che possono essere compresi totalmente solo quando vengono sperimentati in prima persona. Nell’ambiente musicale esistono realtà che, da questo punto di vista, possono essere veramente come delle piccole oasi felici in mezzo al nulla. Pensate che in Italia esiste un’associazione musicale che riunisce in un’orchestra tutti i musicisti appartenenti al Conservatorio di quella città che abbiano un’età massima di 15 anni. Lo scopo principale è sviluppare l’ascolto degli altri e la collaborazione per poi riuscire a sostenere concerti in totale autonomia. Eh si, perché dovete sapere che questi ragazzi suonano senza direttore. Vi è mai capitato di assistere ad un concerto così? Forse solo ad altissimi livelli, mentre qui si parla di ragazzi provenienti dai primissimi anni di studio e che quindi si stanno ancora formando. Ho avuto il privilegio e la fortuna di far parte di quest’orchestra e sento che il mio dovere oggi, in qualità di ex componente, è quello di condividere con quante più persone possibile il valore di poter fare un’esperienza simile sin da piccoli.

Avevo 8 anni quando mi sono seduta per la prima volta sulla sedia più nascosta della sezione dei violini e, considerando il mio carattere a quel tempo cupo e pessimista, nutrivo una fiducia in quella giornata che praticamente rasentava lo zero. I brani erano difficili e chiaramente non conoscevo nessuno. Praticamente era il peggior habitat in cui mi sarei potuta trovare. Volevo andarmene. Ancora non sapevo che di lì a pochi mesi sarei cambiata in meglio con una naturalezza che mai avrei immaginato. A partire da quel giorno sono entrate a far parte della mia vita moltissime persone e porto dentro di me un pezzo di ciascuna di loro, in negativo ma soprattutto in positivo. Ho imparato come non voglio essere e iniziato a riconoscere chi mi sarebbe rimasto vicino nel corso degli anni, anche dopo la conclusione di quel percorso d’orchestra.

La mia vita ha avuto altri e bassi, come succede a tutti, e ci sono stati momenti molto tristi che sono riuscita a superare solamente ricordando a me stessa che “sabato ci sono prove” o leggendo un messaggio in cui mi si diceva “ti aspetto in atrio per pranzare insieme prima delle prove, ti va?”. Non si tratta di suonare e basta. C’è molto di più. C’è il senso di essere un gruppo e poter contare gli uni sugli altri.

Se avessi assecondato il mio iniziale pessimismo mi sarei persa moltissime cose, quelle che mi hanno resa la persona che sono ora e che mi hanno fatta avvicinare alla musica tanto da volerne fare il mio mestiere.

Il valore di un concerto emotivamente condiviso e musicalmente costruito insieme è impagabile. Ricordo, e rivivo mentre scrivo ora, l’emozione di quando mentre suonavo incrociavo gli sguardi di molti miei compagni che giorno dopo giorno, prova dopo prova, concerto dopo concerto, sono diventati i miei più grandi amici e penso che non esista nulla di più autentico e semplice del rafforzare l’affetto reciproco attraverso un brano suonato seguendo lo stesso respiro e le stesse intenzioni. È il biglietto da visita di un’orchestra formata da amici che sentono la musica allo stesso modo e sono pronti a condividerla con chi li ascolta.

Il tempo per riflettere con lucidità è un privilegio riservato a rari momenti della vita e oggi questo maledetto virus, nonostante tutta la sua violenza, ce ne sta concedendo un po’. Ieri sera infatti ho riguardato un paio di video risalenti all’ultimo concerto in cui ho suonato con quest’orchestra e mi sono resa conto ancora di più che il nostro era un gruppo unito, compatto e in cui ognuno era indispensabile. Il primo istinto è stato quello di inoltrarlo ad alcuni amici, gli stessi amici che hanno suonato insieme a me e che, nonostante gli alti e bassi dell’essere giovani e crescere, sono sempre stati presenti e non si sono mai stancati di condividere le loro emozioni. Bene, ho inviato quei video e ho ricevuto una risposta in particolare che diceva così: “sembra una vita fa e sembra molto stucchevole e zuccheroso dirlo ma sono stati degli anni bellissimi e c’è stato un anno in particolare in cui avevo veramente tutto dalla vita”. È stato esattamente così e mi piacerebbe che tutti potessero provare una sensazione simile almeno una volta, perché sentirsi perfettamente adatti alla realtà che si sta vivendo, sentire di avere la vita in pugno e di dover ringraziare per questo solo la musica è un’emozione in grado di curare lo spirito da qualunque cosa. Le priorità cambiano: quello che prima sembrava fondamentale viene messo in secondo piano e si comprende pienamente il significato di molte cose. Tra queste, l’amicizia.

Sopravvivere ai cambiamenti della vita, agli impegni di studio che ci portano in nazioni diverse, condividere amori che nascono, si spengono e poi non si sa come dimenticarli, resistere quando ci sono momenti più duri, gioire quando invece le cose girano per il verso giusto, sentirsi vicini quando qualcuno non c’è più, scattare una foto di laurea tutti insieme, volersi bene senza chiedere nulla in cambio, trovarsi una sera e ricordare tutta la strada fatta uno affianco all’altro. Immaginate di percepire tutto questo, suonando, solo guardando negli occhi un’altro essere umano.

Non è forse amicizia questa?

Non ce lo spiega nessuno che la ricchezza della musica sta anche nell’alzare gli occhi dallo spartito e guardarci tra di noi. Dobbiamo provarlo sulla nostra pelle, nel nostro cuore, per capire che esperienze così ci cambiano per sempre e fanno volare lo spirito a livelli altissimi, anche e soprattutto quando la vita ci sembra più difficile da affrontare.

A distanza di 16 anni dall’inizio dell’esperienza in orchestra ho capito che si, la musica ci salva, ma ci salvano di più le persone che la condividono con noi.

Marina Miola
Marina Miola
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