Essere “orange” senza confini: Rachele e la sua Danimarca

La giornata Orange di oggi si apre in compagnia di Rachele, una ragazza che ha fatto della comunicazione il suo punto di forza e che, nel corso degli anni, ha costruito se stessa comprendendo che nessuno può crescere veramente se non è in grado di aprirsi anche agli altri. Vediamo quindi insieme cos’ha deciso di condividere con noi durante questa interessante chiacchierata.

Ciao Rachele, intanto grazie di esserti resa disponibile per parlarci un po’ di te e della tua
esperienza “senza confini”. Per prima cosa raccontaci, chi è Rachele?

Ciao a tutti voi dell’Orange Team e a tutte le ragazze e i ragazzi che sostengono questa bellissima realtà. 

Ammetto che non è mai semplice definirsi, soprattutto dopo aver cambiato così tante volte il modo in cui lo si fa. In questo punto della mia vita sono Rachele, 22 anni, studentessa di un corso di laurea magistrale in Studi Comunicativi e Incontri Culturali (Communicational Studies and Cultural Encounters) presso la Roskilde University, in Danimarca. Vivo a Copenhagen da sei mesi e faccio la pendolare per andare a Roskilde, la città vichinga. Se nel mio passaporto c’è ancora scritto “Nazionalità: italiana”, mi piace piuttosto definirmi europea.

Finora sono stata Rachele, l’italiana, l’exchange student, la violoncellista, la studentessa di comunicazione, la volontaria di Intercultura e altre cose ancora.

Mi appassiono a mille cose diverse, soprattutto quando mi annoio e ho del tempo libero.


Come mai ti sei indirizzata verso la Danimarca, per ben due volte finora?

La prima volta ho scelto un po’ per caso la Danimarca: dovevo stilare una lista di Paesi in cui avrei voluto trascorrere un anno della mia vita con Intercultura ONLUS e mio padre aveva recentemente letto un articolo sul migliore sistema scolastico europeo. La Danimarca compariva al primo posto e questa cosa mi aveva incuriosito talmente tanto che l’ho inserita al primo posto nella lista. Fato volle che ci fosse un posto per me lì e una famiglia danese che volesse ospitarmi.

L’esperienza è stata talmente positiva che negli anni a venire la mia testa aveva sempre in mente di tornare e vedere con occhi diversi questa realtà.

Nel momento in cui ho dovuto scegliere il mio percorso di specializzazione, ho cercato di combinare le mie passioni (la comunicazione e l’interculturalità) e ho trovato un percorso adatto a me proprio in Danimarca. Inoltre, il mio corso di laurea magistrale è basato per metà su attività di ricerca in gruppo, la combinazione perfetta tra studio tradizionale e ricerca per chi vuole mettersi in gioco come ricercatore, non solo in ambito scientifico, ma anche sociale. Sono tornata qui senza pensarci due volte, sia per il percorso di studio, sia per il mio amore per la lingua danese che per la grandissima voglia di stare ancora in contatto con le persone che hanno reso speciale il mio anno di scambio. Tante cose sono cambiate dopo cinque anni dalla prima volta qui e ogni giorno apprezzo le differenze e le interiorizzo.

“Intercultura”, quindi, è stata per te una realtà fondamentale. Raccontaci di cosa si tratta. 

Intercultura ONLUS è il partner italiano del network internazionale AFS (American Field Service). AFS è nata negli Stati Uniti nel 1915 come un gruppo di ambulanzieri che voleva soccorrere nel campo di battaglia della Prima Guerra Mondiale chiunque fosse ferito, indipendentemente dal gruppo militare di appartenenza. Stessa cosa avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale e al termine di questa, i fondatori decisero di avviare degli scambi interculturali tra universitari, per promuovere il dialogo interculturale e uno spirito di pacifismo tra popoli di culture diverse. Dal 1955 l’Italia ha il suo partner AFS, prima AFS Associazione Italiana, poi Intercultura nel 1977. 

È in questo momento che Intercultura volge il suo sguardo sugli scambi durante gli anni del liceo e sulla più ampia formazione interculturale, in cui la comunicazione e lo studio di questa in ottica interculturale ha un ruolo fondamentale.

Oggi Intercultura è fondata sullo spirito di volontariato di oltre 5000 persone in tutta Italia, che promuovono l’incontro tra culture diverse e il rispetto reciproco, insieme agli studenti che partecipano agli scambi di più o meno lunga durata in giro per tutto il mondo.

Posso certamente dire che qualsiasi esperienza si fa con Intercultura è un’esperienza che ti cambia la vita.


Analizzando ora, a posteriori, le scelte che hai fatto, ritieni che l’esperienza iniziale a Copenaghen abbia influito molto nella successiva scelta di frequentare
Comunicazione all’Università?

Assolutamente. Il bisogno continuo di confrontarmi con stili di comunicazione e lingue diverse mi hanno portato ad interessarmi in modo considerevole al mondo della comunicazione in senso lato. Da quel primo momento è scattata la scintilla che poi mi sta spingendo quotidianamente ad indagare sempre più a fondo le diversità di interazione tra persone e la generazione di identità tra varie culture. 

Se alla maturità ho proprio portato una ricerca sulla intraducibilità di alcune parole e sulla possibile impossibilità di comunicazione tra uomini, successivamente mi sono soffermata su cosa significhi essere italiani e cosa vedono gli altri (soprattutto studenti stranieri che come me hanno fatto un exchange program in Italia) in noi, tanto che ci ho persino scritto una tesi su questo argomento.

Ora come ora, mi sto concentrando su altre tematiche, sempre in grande connessione con la comunicazione e proprio con la mia esperienza in Danimarca (paese molto aperto su ogni aspetto, tanto da essere nel 2021 la capitale del Pride Mondiale), ovvero la creazione e lo sviluppo di identità di genere, ma anche tematiche come l’ecofemminismo e la sostenibilità ambientale.

 Rachele e la sua famiglia danese ospitante. Foto scattata nel 2019 durante la festa per la sua laurea triennale all’Università di Padova


Basandoti su tutte le esperienze che ci hai raccontato e che, come è facile comprendere dai tuoi racconti, hai vissuto in maniera piena…quanto è importante, a tuo parere, la condivisione delle emozioni tra persone appartenenti a nazioni diverse e che quindi hanno anche tradizioni/abitudini differenti?

Posso dire che sia tanto importante quanto fondamentale. È semplicemente grazie all’empatia, ossia il riconoscimento e il rispetto dell’emozione altrui, nonché la successiva condivisione, che si può pensare di essere un gruppo di persone, e non semplicemente esseri singoli che vivono parallelamente con altri. Può essere molto difficile all’inizio essere coscienti degli aspetti positivi e della ricchezza della diversità, soprattutto a livello emotivo, ma fatto il primo passo per avvicinarsi alla comprensione senza paura, si trovano nuovi e meravigliosi mondi negli occhi degli altri. L’importante è capire che le emozioni sono costruite socialmente, ma scoperta la chiave di lettura, si ha accesso ad un vocabolario di sentimenti che si è già sperimentati.

Come ultima domanda, ringraziandoti nuovamente di essere stata nostra “ospite”, vorrei chiederti: per quale motivo ti senti un po’ “Orange”?

Potrei dirti che mi sento un po’ “Orange” perché è importante che oggi più che mai si sappia bene cosa significa comunicazione e come comunicare bene. Nell’epoca delle infinite fake news, è fondamentare conoscere e svelare i meccanismi della comunicazione, per evitare di perpetrare squilibri di potere e creazione di violenza, fisica e non solo (razzismo, pregiudizi, etc.).

C’è sempre il bisogno di comunicare e di comunicare bene, per questo non vedo davvero l’ora di poter continuare questo meraviglioso percorso di formazione e ricerca proprio su questa tematica.

Se posso fare un invito a tutti i lettori e non solo, siate tutti un po’ Orange e siatelo con grande orgoglio.

Maggiori info:

https://www.intercultura.it/

Orange Romance Team
Orange Romance Team
Articoli: 16