– “Cosa vuoi fare da grande?”
– “Voglio diventare professore d’orchestra.”
Risposta audace e coraggiosa indubbiamente. Ma ci sono numerose e validissime ragioni per fare una scelta di questo tipo. Vediamo insieme 3 ottimi motivi per vivere di musica, con l’aggiunta di un pizzico di pessimo sarcasmo che non fa mai male!
Per quanto questo mestiere sia selettivo, originale e particolare, è pur vero che, come per ogni altro lavoro, ci sono fattori fondamentali senza i quali è impossibile adempiere correttamente al proprio dovere. Tra questi vanno nominati sicuramente passione, costanza e responsabilità. Cosa ne sarebbe infatti del complesso ingranaggio del quale facciamo parte quotidianamente se ciascuno di noi non operasse tenendo presenti questi tre capisaldi?
Per questa ragione, il primo punto forte è:
1. Far parte di una squadra

Chiunque abbia praticato uno sport di squadra o abbia lavorato “in team” sa cosa s’intende. Chi per vincere una partita, chi per risolvere un problema lavorativo, si condivide tutti l’obiettivo di fare un buon lavoro e di arrivare ad un risultato che ci renda orgogliosi. Nel caso dell’orchestra si tratta “semplicemente” di fare la propria parte, nel senso più concreto del termine. Immaginate di essere nella sezione dei violini e di esservi studiati 60 pagine di un’opera da 3 ore. Se dopo 7 recite il percussionista non si fosse ancora studiato le sue 5 pagine non sareste un po’ frustrati? E se foste nei fiati e i violini dopo 8 recite non avessero ancora imparato quel passetto difficile che li espone ogni sera a lanci di uova e pomodori marci?
Ecco perché è un lavoro di squadra, tutti contano allo stesso modo e da qui non si scappa: se qualcuno non fa al meglio la propria parte ce ne rimettono tutti (in barba ai violinisti che si devono comunque studiare 55 pagine in più!).
2. Occuparsi di bellezza (ma non quella delle creme idratanti e di altri unguenti anti età)

Noi italiani abbiamo la grande fortuna di nascere e vivere nella culla dell’arte, in tutte le sue forme. Giusto per fare un esempio, da oltre quattro secoli l’Opera parte dal nostro Paese per raggiungere ogni angolo del mondo. E’ impensabile non esserne orgogliosi. Quale altra nazione può dire lo stesso? Non per niente, stando ai dati forniti da operabase.com, l’opera più rappresentata nel corso della stagione 2015/16 è stata La traviata di Giuseppe Verdi…con 4190 serate a lei dedicate in tutto il pianeta. Per tale ragione, avere la possibilità di confrontarsi con capolavori italiani di questo calibro nei teatri italiani (e non solo) è un privilegio al quale ciascun orchestrale fa onore ogni giorno suonando al meglio delle proprie possibilità. Si impara ad amare ogni dettaglio e a scoprire elementi nuovi di prova in prova. Cosa c’è di meglio del trasformare la propria passione per la musica in lavoro?
Come detto, il senso di responsabilità non può di certo mancare, ma…
3. Ci si diverte anche

E qui si aprirebbe un capitolo enorme riguardante gli eventi più straordinariamente catastrofici (e allo stesso tempo comici) nella storia della musica classica.
Uno fra tutti risale al 1960 quando a New York andava in scena la Tosca di Giacomo Puccini. Il ruolo della protagonista (Tosca appunto) era rivestito da una soprano che, a quanto riferito, aveva fatto impazzire l’intera “macchina-opera” per tutta la durata della produzione con le sue richieste assurde e il suo atteggiamento tutt’altro che cordiale. La situazione peggiorava di giorno in giorno fino all’arrivo della sera della “prima”. L’opera si conclude (senza fare spoiler) con un bel salto da parte di Tosca che, solitamente, viene gestito mediante l’utilizzo di un materasso. Si dà il caso che la nostra protagonista quella sera al posto del materassino abbia trovato un tappeto elastico che, mentre l’orchestra concludeva drammaticamente l’ultimo atto, l’ha fatta rimbalzare numerose volte facendola emergere dietro la scenografia di Castel Sant’Angelo con una grazia che solo un cartone animato sarebbe in grado di eguagliare. Come commentato in merito da qualcuno: “quando la tragedia mutò in commedia”!
Si potrebbe anche parlare di quella volta che un cavallo cadde sopra i timpani, ma questa è un’altra storia…e merita un capitolo a parte.
Prendendo spunto dalla sfortunata Tosca, si può solamente aggiungere che lavorare a contatto diretto con la musica è un continuo viaggio tra gioia e tragedia, commozione e struggimento, comicità e gratitudine.
Non dev’essere male alzare gli occhi dallo spartito per un secondo e vedere lo spettacolo di un teatro che ci ascolta, non vi pare?