Non è un Paese per giovani: si potrebbe iniziare così, parodiando il titolo del celebre romanzo di Cormac McCarthy, senza allontanarci troppo dalla nostra realtà in salsa tricolore.
Perché piangersi addosso non è più concesso, mentre è ancora lecito aspettarsi una qualche reazione da parte dei diretti interessati, i giovani appunto.
Ma diamo un’identità a questa categoria: l’Italia è quel particolare Paese che raccoglie un esercito di giovani che vanno dai 18 ai 34 anni, teniamoci stretti. Range d’età non scelto a caso, ma individuato negli italiani che vivono ancora a casa coi loro genitori che, secondo Eurostat, per la fascia 18-34 si attesta attorno al 66% (peggio di noi in Europa solo Croazia, Grecia e Malta).
I “mammoni” sono un po’ l’emblema del problema giovani in Italia: dietro questa categoria si può riflettere, più in generale, su una generazione nel limbo fra studio e mondo del lavoro.
Partendo da questo riferimento, mi riallaccio al titolo, individuando un’altra categoria, forse la nemesi di questa compagine di “mammoni”: i baby boomer, ovvero coloro che, convenzionalmente, sono nati nei due decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Anche in questo caso, ci teniamo stretti; perché, diciamolo, l’espressione “ok boomer” ormai viene utilizzata rivolgendosi a chiunque abbia superato la soglia dei 40.

Ma torniamo a noi, cosa c’entrano fra loro dei giovani di belle speranze e i cosiddetti figli del boom economico del dopoguerra?
Sarà il classico scontro generazionale, sarà la crisi economica che ha cambiato il mondo dal 2008 in poi, sarà la primavera, sarà, sarà…ma la moda di parlare dei giovani, senza esserlo e, soprattutto, senza capirne le reali difficoltà sta prendendo sempre più piede.
Ci troviamo di fronte a una stagnazione politica senza precedenti, ad un ricambio generazionale, sia nel pubblico che nel privato, che tarda ad arrivare e ad un esercito di giovani disoccupati che grida vendetta.
È da quando siamo fra i banchi della scuola elementare che sentiamo parlare di futuro, di investimenti nei e per i giovani, dell’importanza della formazione, delle possibilità che la tecnologia ci può offrire e di opportunità uniche che in passato non c’erano. Ma quando inizia questo futuro?
L’Italia è quel Paese dove si fa carriera con l’età, pardon…esperienza, la meritocrazia rimane prerogativa di poche realtà “illuminate”. La gavetta supera di gran lunga le reali competenze di una persona che, ingenuamente, ha creduto nella favola di chi assicurava che gli studi lo avrebbero portato lì dove senza non avrebbe potuto.
Abbiamo a che fare con una classe dirigente che molte volte non raggiunge il grado accademico di uno stagista, con una mentalità chiusa e reazionaria ad ogni tipo di cambiamento.
Il mondo evolve, molto più velocemente delle idee di chi crede che la sua esperienza possa bastare a fare la differenza in un mercato che non è più lo stesso di quello che ha conosciuto durante la famosa gavetta.
La parabola dell’eroe è sempre un’ottima tecnica di storytelling, usata inconsapevolmente anche da coloro che aberrano questa terminologia markettara.
Quante volte abbiamo ascoltato delle difficoltà, dell’abnegazione, del coraggio e della determinazione di coloro che “ce l’hanno fatta” dall’alto del loro paternalismo nei confronti di giovani sbarbati sognanti.
La storia la scrivono sempre i vincitori, ma a noi giovani nessuno sta offrendo la possibilità di cambiarla, di incidere veramente nel futuro di un Paese.

Quante volte ancora ci siamo sentiti dire “ai miei tempi era diverso”, oppure “non avevamo le possibilità che avete voi oggi”. Tutto vero, ma la storia, anche se ciclica, procede verso un’incessante ed inesorabile evoluzione che, gioco forza, porterà sempre dei cambiamenti per le generazioni a venire, in positivo o in negativo.
Quindi non temiamo di alzare la voce quando è il momento, quando si inizia a parlare dei giovani con filosofia, millantando una certa indolenza e una mancanza di sacrificio.
La società a cui apparteniamo mira a migliorare in continuazione la qualità della vita, l’innovazione tecnologica è alla base di questo principio a cui seguono a ruota migliaia di conseguenze, tra cui, appunto, il benessere economico e sociale.
Sarà sempre così, tendiamo al miglioramento, non possiamo fermare il progresso. Così, come il numero di laureati in Italia è salito esponenzialmente rispetto agli anni ’60-’70, anche i meccanismi di entrata nel mondo del lavoro si sono adeguati di conseguenza, talvolta complicandosi.
Contestualizzare una generazione è sempre complesso per chi ha vissuto le medesime fasi di vita in anni differenti, eppure è un obbligo, anche morale, che chi parla di giovani dovrebbe rispettare.
Troppe poche volte le voci che hanno più risonanza sono quelle dei diretti interessati, come se fossero entità astratte e indefinite appartenenti all’iperuranio.
Noi giovani non vogliamo essere compatiti, a fare quello siamo bravissimi da soli. Chiediamo solo che le nostre voci, anche se di stagisti, di novellini, di neo-laureati, siano ascoltate. Perché, può capitare, che qualche volta si rivelino una piacevole sorpresa.
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