Deeper than blue: l’intelligenza artificiale tra sfide e opportunità

Una lotta infinita

Regina di scacchi

Il mito popolare afroamericano di John Henry racconta di un operaioil cui lavoro (steel driver) era scavare la roccia manualmente, e della sua gara contro uno dei primi modelli di martello pneumatico. John Henry vinse la gara concludendo per primo lo scavo di un tunnel, per poi morire di fatica con il martello in mano. Inutile dire che la veridicità di questa storia è oggetto di dibattito, ma lo scopo dei miti non è quello di essere fedeli alla realtà: piuttosto, di narrare il nostro rapporto con la realtà, meglio di quanto un fatto realmente accaduto possa fare.

La lotta tra uomo e macchina è uno dei temi più ricorrenti nella nostra cultura, basti pensare a classici della filmografia fantascientifica come 2001: odissea nello spazio, Blade Runner o la trilogia di Matrix. Dall’inizio della rivoluzione industriale le macchine hanno assunto un ruolo preponderante in una varietà di settori, di fatto rimpiazzando l’uomo in un numero sempre maggiore di attività. L’avvento dei computer ha esteso enormemente la portata di questo fenomeno, e le crescenti capacità dell’intelligenza artificiale minacciano di spodestare l’uomo anche da quei ruoli che credeva inviolabili. Tutto questo è universalmente noto, ma suscita reazioni diverse e contrastanti, anche nelle stesse persone: dal timore di perdere il proprio lavoro in favore di una macchina, all’ostilità verso gli algoritmi che sembrano conoscerci meglio di noi stessi, all’entusiasmo per una nuova app che invecchia i tuoi selfie.

La lezione di Kasparov

Kasparov

Un atteggiamento che trovo più bilanciato è espresso, ad esempio, da Garry Kasparov, campione mondiale di scacchi noto per aver perso contro il supercomputer IBM Deep Blue nel 1996-7.

Kasparov è stato co-protagonista di un momento fondamentale nella storia dello sviluppo dell’intelligenza artificiale: per la prima volta, le macchine si sono dimostrate superiori all’uomo in un ambito in cui l’intuizione umana veniva considerata insostituibile, anche a fronte di una potenza di calcolo capace di valutare cento milioni di mosse al secondo. In effetti, questa velocità enorme bastò a malapena: nel ’96 Kasparov perse una partita, ma vinse il torneo, e fu solo nel ’97 che Deep Blue (o meglio Deeper Blue, la sua versione aggiornata) si aggiudicò la vittoria.

Ai giorni nostri, una buona app di scacchi installata sul vostro smartphone può battere sia Kasparov che Deep Blue. Le capacità dell’hardware sono aumentate esponenzialmente, seguendo la legge di Moore, ma soprattutto i software sono diventati davvero più ”intelligenti”: nel 2016 il programma AlphaGo ha battuto per la prima volta il campione mondiale di Go Lee Sedol, grazie alle meraviglie del machine learning. Ma questa è un’altra storia.

Nel suo TED talk: ”Don’t fear intelligent machines: work with them”, Kasparov parla di come, dopo la sua sconfitta, molti credevano che il gioco degli scacchi sarebbe morto. Che senso aveva passare una vita sugli scacchi, per essere poi battuti da una macchina? Ovviamente, né la carriera di Kasparov né il gioco degli scacchi subirono alcuna battuta d’arresto. Non solo gli scacchi attrassero ancora più giovani menti, ma ai classici tornei ”tra umani” si affiancò un nuovo tipo di competizione: il torneo tra ”centauri”, i cui partecipanti sono coppie di umani e computer. Il partecipante umano ha il compito non indifferente di utilizzare al meglio le risorse della macchina e di supportarle con la propria intuizione: per quanto potente, un computer non può analizzare tutte le ramificazioni e prevedere tutte le mosse possibili (il cui numero supera quello degli atomi nell’universo!) e sta al partner umano guidare questa ricerca verso la direzione più promettente. La cosa più stupefacente è che giocatori non eccellenti, con computer commerciali, riescono talvolta a battere grandi maestri e supercomputer ben più potenti di Deep Blue. Sta tutto nella sinergia tra i partner, nell’uso che il giocatore fa del software.

Un nuovo gioco di squadra

AI

In un mondo dove una quantità crescente di attività, dalla traduzione alla guida, smette di essere appannaggio dell’uomo e inizia ad essere appresa dalle macchine, seppur con una certa lentezza, viene naturale chiedersi quando il nostro lavoro verrà sostituito da un algoritmo. In alcuni casi, la risposta sembra essere ”presto”: ad esempio, sebbene l’industria delle ”self driving cars” sia ancora agli albori, risulta chiaro a molti che l’ostacolo principale non sia tanto la tecnologia mancante, quanto l’adattamento delle strade, del sistema legislativo, e soprattutto dei nostri schemi mentali ad un mondo di auto a guida automatica. Ma è solo questione di tempo: prima o poi gli ostacoli psicologici e burocratici verranno superati, e camionisti e tassisti verranno gradualmente sostituiti da algoritmi (a meno che problemi ben più pressanti come la pandemia e il cambiamento climatico non prendano il sopravvento e non reclamino tutte le nostre attenzioni nei decenni a venire, ma anche questa è un’altra storia). E allora, è necessario parlare di lotta? Da un lato orde di guidatori umani a rischio licenziamento, e dall’altro colossi indifferenti come Google e Tesla? Lo trovo un punto di vista miope. Immaginiamo una società in cui meno persone sono costrette a lavori ripetitivi e logoranti, un mondo senza traffico e con meno incidenti stradali: questi ultimi provocano migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti ogni anno, solo in Italia -questa si che è una guerra. Una transizione verso questo mondo non dovrebbe essere vista come una battaglia con vinti e vincitori, ma soltanto come progresso. Semmai, il nemico è un sistema in cui il lavoro diventa un privilegio da difendere, in cui domina la competizione, in cui chi non è più ”utile” viene abbandonato, in cui le risorse non mancano, ma la distribuzione di queste risorse è sempre più diseguale. In questa guerra la tecnologia non è il nemico, ma solo uno strumento: uno strumento che può essere utilizzato da entrambe le parti, il cui effetto finale può essere rivoluzionario o distopico a seconda di come lo si usa.

Questo è il messaggio di Kasparov, che ha perso, ma non è stato sconfitto:  abbandoniamo l’era della lotta tra uomo e macchina e pensiamo in termini di gioco di squadra, di sinergia. Come possiamo mettere a frutto la potenza della tecnologia nel modo migliore? Come possiamo adattare la nostra mentalità e le nostre capacità al mondo che sta emergendo? Questo è ciò su cui dovremmo concentrarci.

Manuel Francesco Aprile
Manuel Francesco Aprile
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